Domenica
05
Novembre 2023
XXXI domenica del Tempo Ordinario - Anno A
III settimana del salterio
Matteo 23,10
Uno solo è
il Padre vostro, quello celeste.
san Guido Maria Conforti

Ascolto

Malachia 1,14–2,2.8-10

Io sono un re grande, dice il Signore degli eserciti, e il mio nome è terribile fra le nazioni.
Ora a voi questo monito, o sacerdoti. Se non mi ascolterete e non vi prenderete a cuore di dar gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su di voi la maledizione e cambierò in maledizione le vostre benedizioni.
Voi vi siete allontanati dalla retta via e siete stati d’inciampo a molti con il vostro insegnamento; avete rotto l’alleanza di Levi, dice il Signore degli eserciti.
Perciò anch’io vi ho reso spregevoli e abbietti davanti a tutto il popolo, perché non avete osservato le mie disposizioni e avete usato parzialità riguardo alla legge. Non abbiamo forse tutti noi un solo Padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l’uno contro l’altro profanando l’alleanza dei nostri padri?

dal Salmo 130

Custodiscimi, Signore, nella pace.

Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze.

Io sono tranquillo e sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia.

Speri Israele nel Signore, ora e sempre.

1 Tessalonicesi 2,7-9.13

Fratelli, siamo stati amorevoli in mezzo a voi come una madre nutre e ha cura delle proprie creature. Così affezionati a voi, avremmo desiderato darvi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari. Voi ricordate infatti, fratelli, la nostra fatica e il nostro travaglio: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno, vi abbiamo annunziato il vangelo di Dio. Proprio per questo anche noi ringraziamo Dio continuamente, perché, avendo ricevuto da noi la parola divina della predicazione, l’avete accolta non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio, che opera in voi che credete.

Matteo 23,1-12

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filatteri e allungano le frange; amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato».

Medito

Il Vangelo di oggi può essere considerato un insegnamento sulla capacità di “desiderare” dell’uomo. Come suggerisce l’etimologia della parola, il desiderio (de sidera: dalle stelle) indica una mancanza e anche una provenienza, rimanda cioè ad un orizzonte di ulteriorità sensata.
A differenza del bisogno, connotato da un’urgenza, che può divenire anche prepotenza, incoercibilità e irrefrenabilità (compulsione), il desiderio può rinviarne la sua soddisfazione e nell’attesa si affina, diventando più consapevole e più profondo. Il desiderio ha una radice sottile e complessa, legata certamente alla storia, alla memoria, agli affetti dell’individuo, ma anche alla sfera dei valori; insieme ha a che fare con la fantasia e non è sempre concretizzabile in un oggetto immediato. Il desiderio mira a ciò che potremmo chiamare la realtà fondamentale che garantisce orientamento e significato al vivere e all’agire. Esso si potrebbe ancora meglio definire come la capacità di canalizzare tutte le energie verso ciò che è stimato centrale per noi. Detto questo ecco che gli scribi e i farisei paiono spinti da bisogni di protagonismo e non abitati da desideri di bene. Il loro cuore non è stato educato al desiderio.

Malachia, nella prima lettura, riprende la visione culturale della sua epoca e quindi il suo monito, pur finalizzato a riconoscersi tutti figli di un unico padre, si esprime attraverso immagini di potere e maledizione («il Signore degli eserciti»); Gesù porta l’uomo ad un passaggio di consapevolezza affinché, da un lato, riconosca i suoi limiti e, dall’altro, si apra alla grandezza della speranza a cui è stato chiamato e possa imparare a desiderare l’unico vero bene, che è il Padre di tutti. È una lezione per passare dall’illusorio senso di onnipotenza, residuo della fase infantile, al desiderio di Infinito, trasformando ed orientando le proprie energie, mettendole al servizio di un bene più grande che, nel farci ardere il cuore, ci chiede di lasciare tutti i nostri facili ed immaturi accontentamenti.

Si narra che Teresa D’Avila soffrisse di strani mal di cuore e ne guarì quando il suo cuore percepì una sorta di sintesi, di unificazione di tutte le sue spinte interiori, in Dio. Charles de Foucauld scrisse di avere «tanti desideri sparsi, ma quando vide Dio si unificarono in uno».
Trovare il desiderio fondamentale è come trovare quella stella dei versi danteschi che ci guiderà a «glorioso porto». L’Uno solo che è Dio ha la potenza unificante dell’amore e quindi dona la gioia di riconoscersi tutti fratelli. È importante non confondere il compimento con il successo, a cui è letteralmente votata la società contemporanea. Il desiderio ha a che fare con la profondità, la bellezza e la misteriosità di un compimento finale ed infinito.

Monica Cornali