Editoriale | Febbraio 2023
Una stretta di mano, uno scambio di doni
Si prende per mano un bambino piccolo per camminare insieme per strada. I fidanzati si tengono la mano come gesto di tenerezza, ma anche per dire, simbolicamente, «camminiamo insieme». Gli sposi poi continuano a tenersi per mano e quando la coppia si allarga e accoglie la prole, ci si prende reciprocamente per mano. Nello sport è anche segno di lealtà, di rispetto nei confronti dell’avversario. Darsi la mano è gesto di reciprocità, di aiuto, di sostegno. È andare incontro all’altro. Dice il mio esserci per te e il tuo poterti fidare di me e viceversa. È così anche con una persona malata, sofferente: alle volte stringere una mano abbandonata sul letto è un semplice, unico segno di vicinanza con chi sta soffrendo. Darsi la mano è un gesto davvero semplice, con radici storiche antichissime: ne parla Omero nell’Iliade e nell’Odissea, a Roma era riservato a situazioni particolari, a familiari o amici intimi, in Babilonia è testimoniata una stretta simbolica fra il monarca e la mano della statua di Marduk, il maggior dio babilonese, protettore dell’antica città. È uno scambio, un contatto diretto, concreto che ci è familiare anche nella celebrazione della messa, o almeno nell’epoca pre-covid: ci si scambia un gesto di pace, anzi “un dono della pace”. E in quella stretta si esplicita il senso della comunione fraterna e cristiana. Uno scambio di doni: fedeltà, fiducia, amore.
Lodovica Vendemiati
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