Le parole della liturgia | Aprile 2024

Professione di fede  

Dopo il congedo del catecumeno, l’assemblea proclama la sua fede con il Credo: un catecumeno non può proclamare una fede che sta ancora conoscendo; lo farà il Sabato Santo mattina, nei riti preparatori. Solo i battezzati rimangono per il Credo, il momento in cui noi riconosciamo che ciò in cui crediamo ci è dato attraverso la Chiesa.
Il Messale recita: «Il Simbolo, o professione di fede, ha come fine che tutto il popolo riunito risponda alla parola di Dio, proclamata nelle letture della Sacra Scrittura e spiegata nell’omelia; e perché, recitando la regola della fede, con una formula approvata per l’uso liturgico, faccia memoria e professi i grandi misteri della fede, prima della loro celebrazione nell’Eucaristia. Il Simbolo deve essere cantato o recitato dal sacerdote insieme con il popolo nelle domeniche e nelle solennità; si può dire anche in particolari celebrazioni più solenni…» (OGMR 67-68).
Noi recitiamo il Credo frettolosamente, senza ormai far più caso alle parole della fede con le quali strutturiamo la nostra vita spirituale. Io ho capito la grandezza di questo momento proprio nei riti preparatori con i catecumeni che singhiozzano commossi, mentre riescono a malapena a sussurrare: «Credo in Dio, credo in un solo Signore Gesù Cristo, credo nello Spirito Santo, credo la Chiesa… Credo la risurrezione della carne». Non è una filastrocca! Per queste parole i martiri hanno dato la vita. L’assemblea in piedi, dopo aver ricevuto la parola di Dio, canta, proclama, grida al mondo la sua fede! E lo fa insieme, pur dicendo ognuno singolarmente: «Credo». Non si può dire: «Crediamo»; l’atto di fede è sempre personale e unico; eppure dobbiamo proclamare insieme la nostra fede, perché nella mia pochezza avrò sempre bisogno dei miei fratelli per vivere in pienezza la mia fede.  

Elide Siviero