Le parole della liturgia | Settembre 2023

Il Salmo responsoriale

Dopo la prima lettura si canta il Salmo responsoriale, che si chiama così perché ha carattere di responsorio, cioè si svolge alternatamente tra il solista e i fedeli.
La prima cosa da notare è che è un canto: le letture sono separate da canti. Nessuno si sognerebbe di recitare il testo di una canzone: sarebbe ridicolo. Il salmo è la preghiera dell’assemblea che canta a Dio la risposta a quanto ricevuto nella prima lettura. Cantare è più di dire: l’assemblea canta il ritornello ed entra nel canto stesso che risuona nel cielo eterno.
Per questo vi è un ufficio apposito: quello del salmista, una persona che sa cantare. Il canto, infatti, permette l’unione delle voci nel ritornello, ma anche facilita l’emersione del testo sacro: il salmista si annulla nel canto, perché le parole del Salmo diventino le sole protagoniste insieme alla musica. I salmi sono canti del popolo d’Israele, che Cristo stesso ha cantato. Questa risposta dell’assemblea alla parola di Dio appena proclamata, non è parola di uomini: il testo sacro esige una risposta così alta che non può essere data che con un’altra parola di Dio: i Salmi. È come se Dio stesso ci avesse donate le parole con cui ci dobbiamo rivolgere a lui.

San Benedetto, a proposito della celebrazione della Liturgia delle Ore, diceva che cantando i Salmi, occorre dare il primato alla voce, non alla mente («mens concorda vocis»). Il salmista non deve pensare al senso del salmo, perché l’azione liturgica viene prima del pensiero. Sviluppa il pensiero, ma dopo aver compiuto l’azione. Non possiamo entrare nella nostra interiorità se non dopo il gesto, destinato a trasformare la nostra vita, proprio come il cibo che produce effetto solo dopo averlo mangiato. «Colui che risuona nella voce, il nome di Gesù, costui sia anche nel cuore di chi salmeggia».

Elide Siviero