Le parole della liturgia | Giugno 2023

Il Lettore

«La parola di Dio, costantemente annunziata nella Liturgia, è sempre viva ed efficace per la potenza dello Spirito Santo, e manifesta l’amore operante del Padre che giammai cessa di operare verso tutti gli uomini» (Prenotanda del Lezionario n. 4).
Perché questa Parola sia viva è necessario che qualcuno la legga perché sia ascoltata. Questa lettura è un atto di spoliazione. È una voce nuda che scende dall’alto, perché la Liturgia chiede a ciascuno, anche a chi esercita un ufficio o un ministero, di stare con fede davanti all’imparagonabile grazia dell’avvento di Dio e del suo mistero perché sia solo lui ad emergere. Davanti a Dio dobbiamo essere semplici e nudi dalle sovrastrutture. Solo così siamo servi dell’evento che stiamo celebrando. Il lettore è uno che esce da se stesso, lascia il suo mondo e si dirige verso un altro. È colui che per primo, ascoltando la Parola di Dio, ne è stato colpito. La Liturgia è fatta da acclamazioni e non da discorsi (prevalgono amen, credo, rendiamo grazie a Dio). Così non rischiamo di glorificare noi stessi, la nostra bravura nel dire qualcosa. Il lettore presta la voce al Dio che viene con la sua Parola: esprime la potenza di un incontro con Qualcuno che è sopraggiunto, che è evento e vuole raggiungere tutti gli uomini (cfr. Ebrei 1,1-2. «Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri … ultimamente… ha parlato a noi per mezzo del Figlio»). Per questo anticamente la parola di Dio nelle celebrazioni veniva cantillata, perché il lettore quasi scomparisse nel canto e non influenzasse con la sua intonazione la potenza del testo sacro. Non è ammessa nessuna drammatizzazione mentre si legge: non siamo ad una recita teatrale. I lettori, umili servitori della parola di Dio, devono scomparire mentre leggono.

Elide Siviero