Le parole della liturgia | Gennaio 2023

Il Gloria

Il Gloria è un antichissimo inno di cui abbiamo testimonianza fin dai primi secoli del cristianesimo: è uno dei testi più antichi di tutta la Liturgia. Nasce come inno della Liturgia delle Ore, da cantare al mattino. Entra nella celebrazione eucaristica, perché riecheggia il canto degli angeli al Natale del Signore, raccontato dal Vangelo di Luca. Inizialmente lo si cantava solo la Notte di Natale, se la Messa era presieduta dal Vescovo: era il modo con cui il Vescovo annunciava la nascita del Salvatore. Un po’ alla volta, si cominciò ad estendere questo canto ai presbiteri. Sarà Papa Simmaco, alla fine del V secolo, ad introdurlo in tutte le feste del Signore, dei martiri e nelle Domeniche.

Evidentemente esso nasce come canto: è un inno trinitario che loda il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, le tre persone della Trinità. È diventato ciò che rende solenne una festa. Non ha altri significati se non quello di rendere festose, gioiose, piene di esultanza le nostre assemblee.

È un canto a sé stante, non accompagna un rito: depauperato della forma del canto perde completamente il suo significato. Recitare il Gloria non ha nessun significato: è il canto che genera il senso della festa di cui il Gloria è indice. Togliere ciò che lo rende segno di lode e di esultanza significa distruggerlo.

Ricordiamo che è un inno, non un canto ritornellato, anche se ora si sente spesso usare questa forma: l’inno chiede che tutti cantino di seguito un testo, senza interromperlo con un ritornello. Questo canto antichissimo mira semplicemente a condurre nell’esultanza l’assemblea, dopo l’atto penitenziale, ad accogliere la lettura della parola di Dio. Esso fa parte dei Riti di introduzione, che hanno il solo scopo di condurci dal fuori al dentro, farci attraversare una soglia e condurci al Mistero.

Elide Siviero