Le parole della liturgia | Dicembre 2023

Il Canto al Vangelo

«Dopo la lettura che precede immediatamente il Vangelo, si canta l’Alleluia o un altro canto stabilito dalle rubriche, come richiede il tempo liturgico. Tale acclamazione costituisce un rito o atto a sé stante, con il quale l’assemblea dei fedeli accoglie e saluta il Signore che sta per parlare nel Vangelo e con il canto manifesta la propria fede. Viene cantato da tutti stando in piedi, sotto la guida della schola o del cantore, e se il caso lo richiede, si ripete; il versetto invece viene cantato dalla schola o dal cantore» (PNMR n. 62). Questo canto dovrebbe accompagnare l’Evangeliario che dall’altare viene portato solennemente all’ambone. È il canto della risurrezione, durante il quale l’assemblea balza in piedi perché entra il Risorto: Cristo, vincitore della morte, entra nella sua santa Chiesa e noi esplodiamo nel canto. Pensiamo a quanto solenne deve essere questo canto: non può essere ridotto a una canzoncina per bambini, facile e accomodante.
Il versetto alleluiatico è un testo della Scrittura che fa da raccordo fra tutte le letture. Non si può toccare né eliminare, perché è la chiave di volta della Liturgia della Parola: è come un architrave che sorregge tutta la struttura. Quei ritornelli passe-par-tout, che sembrano andar bene per ogni celebrazione, non si possono cantare: essi non c’entrano assolutamente niente con le letture, vanno aboliti, perché il versetto alleluiatico è fondamentale e, soprattutto, deve essere cantato. Si pensa di dover cantare solo l’alleluia e di leggere il versetto, ma un canto non va mai recitato! Nessun cantante interromperebbe la sua canzone per recitare la strofa. Bisogna cantare tutto. Chi canta è il segno della preghiera della Chiesa. Se il cantore canta il versetto al Vangelo, è perché la Chiesa celebri il suo Signore ed esulti.

Elide Siviero